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Il “Coccodrillo” capitalista di Dostoevskij: un imbecille

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Il “Coccodrillo” capitalista di Dostoevskij: un imbecille

TORNA LA SATIRA DEL RUSSO – Una “birichinata letteraria” nella scia surreale di Gogol. Bersaglio sono i goffi intellettuali del tempo: idioti che si credono economisti e statisti (da circo)

DI LUCA SEBASTIANI
25 SETTEMBRE 2022
Se cercaste in Rete qualche immagine di Fëdor Dostoevskij, trovereste il ritratto di un uomo accigliato, vagamente malinconico, con un lungo barbone e un’espressione seriosa. Del resto è prassi cercare di far coincidere la fisionomia di uno scrittore con il carattere della sua opera, e se Dostoevskij è stato tra i moderni quello che meglio ha scavato nelle torbidezze dell’animo umano, allora quel ritratto gli corrisponde.

Ci si dimentica spesso però che Dostoevskij è stato anche un grande autore comico, che, oltre a indulgere al divertissement grottesco qui e là nei grandi romanzi, ha sperimentato la pura propensione satirica in vecchi e poco conosciuti romanzi come Il villaggio di Stepàncikovo o in capolavori di comicità dell’assurdo come Il coccodrillo, gioiellino che Adelphi rimanda ora in libreria. Si tratta di un racconto perfetto nel suo genere, sulla scia della vena surreale di Gogol. “Un giorno mi venne l’idea di scrivere qualcosa come l’imitazione de Il naso”, scriverà Dostoevskij otto anni dopo la pubblicazione del Coccodrillo nel 1865, quando si era diffusa un’interpretazione che leggeva nel racconto la caricatura di un contemporaneo. In realtà, si trattava “di una birichinata letteraria soltanto per far ridere”.

Una mattina a Pietroburgo, Ivan Matveic, funzionario progressista e vanaglorioso, si reca insieme alla moglie a vedere un coccodrillo esposto da un impresario tedesco insieme ad altre mirabilia. Curioso, si accosta all’animale e in un sol boccone viene inghiottito. In una scena che volge alla bagarre, si scopre non solo che il povero Ivan non è morto, ma che, novello Giona, nel ventre del mostro vuole restarci per elaborare una teoria che migliori le sorti dell’umanità, sfruttando, anche economicamente, la celebrità della sua eccezionale condizione.

Serena Vitale, che ha pregevolmente curato l’edizione, ci informa nella postfazione che nelle minute del Coccodrillo Dostoevskij annotava che filosofo in Russia è sinonimo di “imbecille”. Non sappiamo bene a quale tipo di filosofo facesse riferimento, se al teoretico o al morale – tutte categorie fuori corso storico nell’epoca della trionfante scienza positiva – ma senz’altro fa del suo protagonista un imbecille e un filosofo positivista, progenitore di Bouvard e Pecuchet, con cui una quindicina di anni più tardi Flaubert tratteggerà gli eponimi dello scientismo borghese.

All’epoca della redazione del Coccodrillo, il liberalismo e la cultura borghese, cioè le idee “nuove” che arrivavano da Occidente come il coccodrillo importato dall’imbonitore-capitalista tedesco del racconto, cominciarono a ingrossare le file dei russi occidentalisti fautori del progresso e del Capitale.

“Il principio economico prima di tutto”, urla infatti Ivan Matveic dal coccodrillo-Capitale, dalla pancia del quale si guarda bene dal voler uscire attraverso il pentimento come Giona dal Leviatano o Pinocchio dal pescecane; nel mostro capitale il bene e il male non esistono e i dubbi morali sono superati dal principio economico e dalla sua efficienza che tutto giustifica secondo ragione: ciò che ingrassa il Capitale è buono e giusto.

Quattro anni dopo la pubblicazione di questo racconto, con L’idiota, Dostoevskij intese ribaltare il punto di vista sull’idiozia. Nel nuovo capolavoro infatti è il principe Myskin, con la sua purezza d’animo e bontà di spirito, ad apparire un idiota ai tanti Ivan Matveic che dominano ormai la società.

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